Fine della fantasia Questo corpo mai più ricomincia. A toccargli le occhiaie uno sente che un mucchio di terra è più vivo, ché la terra, anche all'alba, non fa che tacere in se stessa. Ma un cadavere è un resto di troppi risvegli. Non abbiamo che questa virtù: cominciare ogni giorno la vita - davanti alla terra, sotto un cielo che tace - attendendo un risveglio. Si stupisce qualcuno che l'alba sia tanta fatica; di risveglio in risveglio un lavoro è compiuto. Ma viviamo soltanto per dare in un brivielo al lavoro futuro e svegliare una volta la terra. E talvolta ci accade. Poi torna a tacere con noi. Se a sfiorare quel volto la mano non fosse malferma - viva mano che sente la vita se tocca - se davvero quel freddo non fosse che il freddo della terra, nell'alba che gela la terra, forse questo sarebbe un risveglio, e le cose che tacciono sotto l'alba, direbbero ancora parole. Ma trema la mia mano, e di tutte le cose somiglia alla mano che non muove. Altre volte svegliarsi nell'alba era un secco dolore, uno strappo di luce, ma era pure una liberazione. L'avara parola della terra era gaia, in un rapido istante, e morire era ancora tornarci. Ora, il corpo che attende è un avanzo di troppi risvegli e alla terra non torna. Non lo dicon nemmeno, le labbra indurite. Cesare Pavese Et voilá. |
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31 de julio de 2010
Fin de fantasía
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